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Il sito è a cura del prof. Bernardo Croci, attualmente insegnante di filosofia presso il Liceo delle Scienze Umane Galilei di Firenze.

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 L’uomo è sempre stato affascinato dall’idea di costruire automi e calcolatori, che potessero svolgere le attività umane, sia per sollevarsi dalla durezza della vita, ma anche per sogno di dominio: poter essere creatori di qualcosa. La storia dell’automatizzazione è molto antica, anche se non ha prodotto marchingegni significativi fino alla seconda rivoluzione industriale. Il calcolatore meccanico più antico è sicuramente la macchina di Antikythera risalente al II sec. a.c.. https://cdn.shopify.com/s/files/1/0015/0028/2982/files/meccanismo_di_anticitera_480x480.jpg?v=1561023115

La riflessione teorica più rilevante è sicuramente quella di Raimondo Lullo, il quale si dedicò ad immaginare una macchina capace di elaborare ragionamenti e fare calcoli. L’idea nasceva dall’opera l’Ars Magna che aveva l’ambizione di scomporre le proposizioni linguistiche in proposizioni atomiche, tali che potessero essere espresse utilizzando la simbologia dell’aritmetica.  Utilizzando un certo numero di frasi atomiche, Lullo ipotizzò che attraverso l’utilizzo di una serie di ruote su cui erano incise le proposizioni si potesse ottenere automaticamente tutte le verità che scaturivano dalla combinazione di esse. https://www.matematicamente.it/images/stories/arte/esistenza_di_dio.jpg Anche se in passato già si era usato altri strumenti per contare il tempo o altri elementi (come l’abaco), con Lullo per la prima volta si immagina di poter automatizzare il ragionamento.

Meritano tuttavia un accenno altri incredibili macchinari atti a compiere calcoli, come L’Astrario di Giovanni Dondi https://vitruvio.imss.fi.it/foto/galileopalazzostrozzi/41301_450.jpg, il Rechenuhr di  Schickard (ne furono costruiti due, uno dei quali fu commissionato da Keplero) https://fernwehundso.de/wp-content/uploads/2019/10/Die-Rechenuhr-von-Wilhelm-Schickard-1-von-1.jpg, la Pascalina di Blaise Pascal che diede il via ad un gran numero di imitazioni. La macchina di Pascal era in grado di compiere addizioni e sottrazioni e ottenere il riporto automatico. https://www.macitynet.it/wp-content/uploads/2013/05/asta32.jpg Pascal intendeva con essa aiutare suo padre Etienne che era diventato sopraintendente a Rouen. L’idea del filosofo di Clermont-Ferrand era quella di trasformare il classico abaco, basato su palline poste su bastoncini, in una ruota dentata dotata di tre quadranti: uno per unità, uno per le decine e uno per le centinaia. La ruota provvista di tacche era in grado di fare il riporto automatico, grazie ad un accoppiamento meccanico con un’altra ruota, ed è qui che risiede l’ingegno di Pascal, il quale riesce a costruire una macchina capace di fare un’operazione propriamente mentale, il riporto. È questo il vero contributo della sua macchina, che, come ha scritto Fornero, era in grado di «compiere operazioni proprie dell’intelligenza umana, o almeno a talune di esse, a cominciare dalle funzioni del calcolo».

Dopo Pascal si cimentarono nel costruire macchine addizionali: Samuel Morland, René Grillet de Roven, Claude Perrault. Ma in particolare Pascal influenzò Leibniz. Il filosofo di Lipsia nel 1673 presentò una particolare macchina capace non solo di fare le addizioni e le sottrazioni, ma anche le moltiplicazioni e le divisioni (non riuscì però a far scattare automaticamente i riporti come faceva la macchina di Pascal), questa invenzione contribuì alla sua ammissione alla Royal Society. https://milano.repubblica.it/images/2012/06/21/120320020-1e15e5b0-0ea8-4391-95aa-6a4a9f679ecf.jpg

Il principale contributo di Leibniz, alla nascita dell’intelligenza artificiale,  risiede invece nel recupero parziale dell’idea di Hobbes (il quale sosteneva che il pensiero è manipolazione di simboli e che, se si fossero individuate le combinazioni meccaniche che lo regolavano, si sarebbe potuto spiegarlo con leggi simili a quelle della fisica). Leibniz, pur non essendo un materialista, si dedicò a costruire un linguaggio formalizzato che attraverso un insieme di regole simili a quelle dell’aritmetica potesse risolvere i problemi filosofici. Alla base di questa proposta vi era l’idea «che ogni concetto si scompone in un insieme finito di sotto-concetti, fino ad arrivare ad alcuni concetti atomici, in modo corrispondente alla scomposizione in fattori primi […]».  Questo portò Laibniz ad ipotizzare una charatteristica universalis e un calcolo ratiocinator «che permetteva di decidere matematicamente la validità dei ragionamenti». https://classiccaseofmadness.files.wordpress.com/2011/08/scan0006-e1314056226129.jpg

A Laibniz e a Pascal si ispirò l’italiano Giovanni Poleni che compose uno scritto ove descrive una macchina aritmetica:

            avendo più volte inteso, sia dalla viva voce, sia dagli scritti degli uomini eruditi che sono state realizzate dalla perspicacia e dalla cura dell’illustrissimo Pascal e di Leibniz due macchine aritmetiche che servono per la moltiplicazione, delle quali non conosco la descrizione del meccanismo e non so se essa sia stata resa manifesta, ho desiderato: e di indovinare col pensiero e la riflessione la loro costruzione, e di costruirne una nuova che attuasse lo stesso scopo.

La novità della macchina di Poleni è che essa è veramente automatica e azionata tramite contrappesi come gli orologi meccanici e non a manovella come quella di Leibniz grazie al traspositore a denti variabili. https://4.bp.blogspot.com/-Or4Tn41lMEk/UZTPQIMDTgI/AAAAAAAAAC4/maYUSd_Meo4/s1600/dopo_restauro.jpg Non si sa se l’abbia costruita sue proprie mani o affidata ad un ingegnere, ma:

 la macchina di Poleni conobbe in Europa una certa notorietà nei decenni successivi, la troviamo infatti descritta e raffigurata nei primi due trattati a stampa sugli strumenti per il calcolo meccanico: il Theatrum Arithmetico-Geometricum del tedesco Jacob Leupold, pubblico nel 1727, e in Versuch einer Geschichte der Reschenmaschine di Johann Bischoff, del 1804.

Quelle finora trattate sono quasi esclusivamente macchine di calcolo; un’idea molto più ambiziosa (anche se non realizzata) fu invece quella di Charles Babbege https://c8.alamy.com/compit/hrnw13/charles-babbage-inglese-lo-scienziato-di-computer-hrnw13.jpg a cui lavorò anche la contessa Lady Ada Byron Lovelace (niente meno che la figlia del noto poeta Lord Byron).

Anche Babbege aveva creato una macchina di calcolo la Difference Engine (macchina delle differenze) capace di generare tavole matematiche con il metodo delle differenze, «un dispositivo specializzato che poteva calcolare, con precisione fino a sei cifre decimali, il valore numerico di polinomi come x2+x+41». https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn%3AANd9GcQTvyYjxo-Mpl_Xjk5lHppv4T9MOm8y3iqULHDi2xYMfzy92iLO&usqp=CAU Ma il suo genio gli aveva fatto immaginare di poter costruire una macchina molto più potente, che «sapeva fare di tutto, tranne comporre danze popolari». Babbege pubblico nel 1843 una serie di scritti che descrivevano la macchina, da lui chiamata Analytical Engine (macchina analitica) e come poterla realizzare, tuttavia in assenza dei finanziamenti necessari non riuscì mai a costruirla (se l’Inghilterra gli avesse dato fiducia forse avrebbe costruito il primo calcolatore elettronico 100 anni prima, cambiando magari il corso della storia). https://ih1.redbubble.net/image.65466421.9232/flat,800x800,075,f.u2.jpg

L’idea era di costruire la macchina attraverso congegni meccanici sfruttando la forza vapore, la differenza con le altre macchine progettate era che essa avrebbe avuto un “magazzino”, cioè una memoria, e un “mulino”, cioè un congegno di calcolo, entrambe realizzate attraverso grossi cilindri dentati collegati tra loro che avrebbero potuto non solo operare sui dati immessi dall’esterno, ma anche sul proprio programma. Scrive in proposito Hofstadter che:

Babbege vedeva un vorticoso entrare ed uscire di numeri dal mulino sotto il controllo di un programma contenuto in schede perforate; quest’ultima idea era ispirata dal telaio Jacquard, un telaio controllato da schede capace di tessere disegni di sorprendente complessità […]. Lady Ada Lovelance, commentava poeticamente che “la macchina analitica tesse disegni algebrici proprio come il telaio Jacquard tesse fogli e fiori”. 

L’amica di Babbege, Ada Byron, scrisse addirittura un programma capace di far calcolare alla macchina analitica i numeri di Bernoulli (entità algebriche per il calcolo delle probabilità inventate dal matematico svizzero nel 1713). 

In conclusione possiamo affermare che la macchina analitica nei suoi intenti è stata il primo vero prototipo di computer e d’intelligenza meccanizzata, anche se, come scritto dalla stessa contessa Ada Byron, non si riteneva che potesse realmente riprodurre l’intelligenza e il pensiero umano.

Sul piano logico-matematico la vera svolta fu resa possibile dal matematico Irlandese George Boole, egli riprese il sogno leibniziano di costruire un linguaggio capace di descrivere le leggi del pensiero, in particolare riuscì ad algebrizzare la logica delle proposizioni. In questo contesto il nostro interesse si rivolge a Boole perché senza le caratteristiche dell’algebra booleana, non sarebbe possibile tradurre in circuiti elettrici le operazioni logiche principali a sviluppare l’informatica. https://slideplayer.it/slide/570465/1/images/16/Applicazione+dei+teoremi+dell%E2%80%99algebra+booleana.jpg

Anche Gottlob Frege, affascinato dall'idea leibniziana di un calculus philosophicus o ratiocinator, mirò alla costruzione di un linguaggio rigoroso, «in formule di pensiero puro», che permettesse il «calcolo logico» e che potesse costituirsi come fondamento di tutti i calcoli particolari e specifici delle varie scienze (aritmetici, geometrici, ecc); di modo che anche questi calcoli specifici potessero esser condotti per via esclusivamente formale, e senza salti e lacune, ampliando parecchio l’idea di Boole.

L’idea di poter tradurre in circuiti la logica booleana trova il suo padre in Claude Shannon che nel 1938 formulò la teoria cibernetica dell’informazione, anche nota come teoria matematica dell’informazione. Nella sua tesi egli spiegava «come usare l’algebra di Boole  per progettare circuiti di commutazione complessi, contribuendo “a trasformare da arte a scienza la progettazione dei circuiti digitali”». Il modello teorico di Shannon è molto semplice e riproduce la struttura base di ogni atto comunicativo, inteso come trasmissione d’informazioni, da una fonte ad una meta. Shannon, all’epoca ricercatore presso i laboratori della BeLL Telephone, descrive gli elementi necessari al fine di trasmettere e ricevere dati secondo uno schema che riproduce un circuito elettronico: un emittente, attraverso un processo di codifica, invia in un canale un messaggio ad un ricevente, il quale procederà alla decodifica del segnale e all’invio di un feedback. https://www.lacomunicazione.it/illustrazione/1263_1.jpg La codifica e la decodifica può essere fatta sulla base dell’algebra booleana e il canale diventa un circuito elettrico che fa passare o non fa passare l’elettricità. https://2.bp.blogspot.com/-d5WwqBhd4Rw/WqQIBrIt5yI/AAAAAAAACOs/MMb_MtVcfw8sNX1msU6jRxmGmlgVKte2wCLcBGAs/s1600/circuito%2Belettrico.jpg

Contestualmente all’opera di Shannon, e senza conoscere il suo scritto, nel 1943 il neurofisiologo Warren McColloch e il giovane logico Walter Pitts osservarono che il lavoro di Boole poteva essere usata per spiegare ed interpretare i processi sinaptici, cioè l’algebra booleana forniva un modello di spiegazione approssimato del sistema nervoso. https://miro.medium.com/max/1670/1*XDdNbazrZntiDnzBYvlmxw.png

Sono queste due opere, insieme con quella di Boole, a fare da ponte tra il dibattito filosofico e la nascita dell’informatica da un lato e la scienza cognitiva dall’altro (in particolare la psicologia cognitiva). Questo perché, come scritto da Odifreddi di recente:

l’interpretazione di Shannon mostra che i circuiti elettrici o elettronici sono in grado di effettuare tutte le operazioni dell’algebra di Boole, e dunque tutti i ragionamenti della logica proposizionale e sillogistica. E l’interpretazione di McCulloch e Pitts mostra che i circuiti neuronali sono in grado di effettuare le stesse operazioni, e possono dunque essere simulati o approssimati con circuiti elettrici o elettronici

Il problema filosofico di Leibniz e quello delle prime calcolatrici meccaniche, si fonde e dà origine sia una nuova scienza l’informatica sia ad un nuovo modo di interpretare la mente dell’uomo la psicologia cognitiva e la cibernetica. Gli scienziati che si faranno interpreti di queste due nuove strade sono Alan Turing, riconosciuto insieme a John Von Neumann il fondatore dell’informatica https://i.ytimg.com/vi/fJltiCjPeMA/maxresdefault.jpg, e Ulric Neisser che seppe, nella sua opera del 1967 Cognitive Psychology, sintetizzare i contributi che a partire dal congresso tenuto al MIT nel 1956 hanno costituito l’ossatura della cibernetica e della scienza cognitiva. https://i.stack.imgur.com/zOijY.png

Malgrado la vicenda umana di Alan Turing sia molto interessante (dalla decifrazione di Enigma, alla omosessualità, al suicidio con la mela avvelenata futuro simbolo della Apple https://valentinameschia.files.wordpress.com/2012/06/596x373_414798_alan-turing-logo-apple.jpeg), ci limiteremo a trattare solo i suoi risultati scientifici. Turing parti dallo studio dei lavori di Gödel col fine di trovarne una riformulazione, nel far ciò si soffermò sul un fatto che in un sistema formale quando si procede partendo da assiomi con un insieme di regole si procede meccanicamente, cioè che l’uomo mentre compie un calcolo con regole e dati discreti lo fa in modo meccanico. Da questa considerazione Turing si chiese come dovesse essere una macchina capace di riprodurre meccanicamente questi passaggi.

Egli immaginò una macchina dotata di una testina capace di scrivere e leggere dei simboli, per esempio 0 e 1, su di un nastro potenzialmente infinito diviso in tante caselle che possono contenere un solo simbolo ciascuna, la testina deve avere la capacità di spostarsi avanti e indietro lungo il nastro a seconda del simbolo letto e può altresì sostituire i simboli presenti nelle caselle; una volta impostato uno specifico algoritmo la macchia è in grado di operare autonomamente. https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn%3AANd9GcQ943CbV7yE7yLbQx5uDqY9c2-Q6u0EGVdjGFGQxjSCHYMx9-76&usqp=CAU  

 Turing ipotizzò di costruire una macchina che fosse in grado di simulare qualsiasi algoritmo, nota come Macchina universale di Turing, cioè che una sola macchina poteva svolgere infiniti compiti in teoria (era solo un problema di memoria, che in un calcolatore è finita) https://slideplayer.it/slide/598927/2/images/73/La+macchina+di+Turing+Universale+-+vers.+grafica.jpg; si poteva in sostanza realizzare un programma capace di realizzare qualsiasi operazione (era in un certo senso il sogno di Leibniz). Una macchina capace di svolgere un unico compito non avrebbe presumibilmente appassionato psicologi e filosofi, perché solo alcuni futuristi avrebbero potuto immaginare che la pascalina fosse analoga alla mente umana, ma il fatto che una macchina fosse capace di svolgere qualsiasi operazione, implicava una certa similitudine con la mente umana.

Turing contribuisce alla costruzione del primo calcolatore britannico l’ACE https://encrypted-tbn0.gstatic.com/images?q=tbn%3AANd9GcQrP_HZGRUXU3iTOypgruObvUT7Pdo4CwbPu5jXLYTy1WtH-J1c&usqp=CAU, contestualmente in America John Von Neumann contribuiva a costruire EDVAC e ENIAC. https://systemscue.it/wp-content/uploads/2019/03/eniac.png Neumann grazie agli studi di McCullon e Pitts stese un’opera che spiegava con precisione «l’architettura di un calcolatore» di nuova generazione capace di contenere nella memoria interna «non solo i dati, come nel caso dei calcolatori realizzati fino a quel momento, ma anche le istruzioni per manipolarli, ovvero il programma, che diventava così modificabile non meno dei dati». Questa architettura, denominata appunto Architettura di Von Neumann, permetteva di costruire in concreto una macchina universale di Turing. https://4.bp.blogspot.com/-RUq8fLjeQsk/T7Pjr82FcbI/AAAAAAAAAAk/NbqMQYjry24/s1600/processore.png

Nel 1947 venne creato L'Electronic Delay Storage Automatic Calculator capace di elaborare dati non numerici e di modificare le sue prestazioni in base all’esperienza. https://i.pinimg.com/originals/62/94/3f/62943f0f04c31cfafcf3f3eacf7dd60f.jpg Questi continui progressi portarono lo stesso Turing a chiedersi, nel 1950 in un articolo pubblicato sulla rivista Mind, se i computer sarebbero stati capaci di pensare. In questo articolo il logico inglese formula il così detto Test di Turing o gioco dell’imitazione, un esperimento mentale attraverso il quale riconoscere una macchina pensante da una che non lo è. Quanto scritto da Turing merita di essere citato per intero:

Propongo di considerare la domanda "Le macchine possono pensare ?" […] La nuova forma del problema può essere descritto in termini di un gioco che noi chiamiamo il ' gioco di imitazione ". Si gioca con tre persone, un uomo ( A ), una donna ( B ), e un interrogatore ( C ), che può essere di entrambi i sessi. L'interrogatore sta in una stanza a parte, separato dagli altri due. Scopo del gioco per l'interrogante è quello di determinare quale dei due è l' uomo e quale la donna. Egli li conosce con le etichette X e Y , e alla fine del gioco dice sia "X è A e Y è B " oppure " X è B e Y è A”.  L'interrogatore ha facoltà di porre domande ad A e B così :
C: X, vuol  dirmi per favore quanto sono lunghi i suoi capelli?
Supponiamo ora che X è in realtà A, allora A deve rispondere .  Compito di A nel gioco è cercare d’ingannare C per rendere l'identificazione sbagliata . La sua risposta potrebbe quindi essere: "ho i capelli pettinati alla maschietta e le ciocche più lunghe sono lunghe circa venti centimetri."
Per evitare che il tono di voce possa aiutare l'interrogante, le risposte dovrebbero essere scritte, o meglio ancora, dattiloscritto. La disposizione ideale è avere una telescrivente comunicante tra le due camere. In alternativa, le domande e le risposte possono essere ripetute da un intermediario. Lo scopo del gioco per il terzo giocatore (B) è quello di aiutare l'interrogante. La strategia migliore per lei è probabilmente quello di dare risposte veritiere. Essa può aggiungere alle sue risposte frasi del tipo "Io sono la donna, non dargli ascolto!” ma ciò non approderà a nulla perché anche l’uomo può fare osservazioni analoghe. http://www.andreaminini.com/data/andreaminini/test-di-turing-4-andrea-minini.gif  Ora chiediamoci: "Che cosa accadrà  se in questo gioco una macchina prenderà il posto di  A? " L'interrogatore sbaglierà altrettanto in questo caso di quando il gioco è effettuato fra un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono la nostra domanda originale "Le macchine possono pensare?". https://www.ai4business.it/wp-content/uploads/sites/11/2020/02/Turing_test_diagram-661x381.png?x72510

L’idea di Turing di utilizzare la metafora del gioco nasce da una doppia esigenza: da un lato quella di tracciare una netta differenza tra capacità fisiche e capacità intellettuali dell’uomo, dall’altro di non pretendere competizioni assurde tra uomini e macchine. Riformulando, quindi, le parole di Turing si tratta di prendere un calcolatore ben programmato lo si nasconde insieme ad un uomo dalla vista di un interrogante (ovviamente un uomo). L’interrogante deve stabilire quale dei due sia il computer e quale sia il soggetto umano semplicemente ponendo loro delle domande. Entrambi il computer e l’uomo dovranno, con le loro risposte, far credere a colui che fa le domande di essere il vero essere umano, ovviamente la macchina è programmata per mentire. Se nel corso di una serie di tali test, l’interrogante è incapace di identificare ripetutamente l’uomo, si giudica il computer intelligente.

Quando Turing formulò queste ipotesi non vi era alcuna macchina in grado né di superare questo test, né di avvicinarvisi, tuttavia ad oggi esistono programmi in grado di imitare una conversazione, e in certi casi conversazioni complesse come il programma Eliza che imita il dialogo psicoterapico usando il metodo rogersiano (pare che molti americani si sentano più a loro agio a parlare con una macchina che non con una persona, programmi come questo hanno avuto molto successo e sono in uso tutt’oggi…). https://www.laila.tech/wp-content/uploads/2020/12/eliza_lailatech-1024x597.jpg 

Pochi anni dopo, nel 1956, in un seminario tenutosi al Dartmouth College di Hannover, nasce l’espressione Intelligenza Artificiale per opera di John MaCarty, Marvin Minsky, NaThaniel Rochester e Cloude Shannon, con tale espressione questi autori intendevano la disciplina capace di creare artificialmente ogni forma di apprendimento ed ogni caratteristica dell’intelligenza umana.

Con la nascita dell’Intelligenza artificiale e lo sviluppo, in ambito psicologico, delle teorie computazionali della mente (con annessa la spiegazione cognitivista), si ripropone con forza il tema della coscienza e del rapporto mente corpo. Infatti possiamo chiederci se un computer può pensare e divenire vivente, ma possiamo anche rovesciare la prospettiva e dire che se noi assomigliamo ad una macchina cosa ci fa sostenere di avere una coscienza e di essere speciali rispetto ad un qualunque meccanismo? https://i0.wp.com/www.mam-e.it/wp-content/uploads/2018/05/mame-cinema-IO-ROBOT-STASERA-IN-TV-IL-CAPOLAVORO-DI-ASIMOV-will-e-robot-e1527071227113.jpg?resize=992%2C576&ssl=1

Oggi la tecnologia è percepita come quotidianità, e probabilmente nessuno (tranne i filosofi e i neurofisiologi) si chiederebbe se i computer hanno una coscienza. Tuttavia i problemi aperti dall’intelligenza artificiale hanno permesso di approcciarsi all’intelligenza in modo diverso, e di individuare nuove strategie per ottimizzare le potenzialità dei soggetti in campo medico, ma anche in campo educativo.

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